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Santa Maria di Leuca miti e leggende

Miti e Legende




Il nome Leuca sembra derivi dal Greco Leucos, ovvero la bianca, nome dato dai pescatori greci che si affaciavano sulle coste del Salento Meridionale. Santa Maria di Leuca, Marina di Leuca o più semplicemente Leuca ! i tre nomi sono dovuti a ragioni storiche, Capo Santa Maria di Leuca è il tacco d’ Italia, e sul promontorio dove termina l’ Italia c’e’ il Santuario della Madonna di Leuca, in passato quindi si distingueva tra la zona del Santuario e la cittadina ai piedi dello stesso che veniva identificata diversamente.

Legende e Storia

L attuale Santuario della Madonna, in origine era un tempio greco dedicato alla Dea Minerva, la leggenda vuole che Pietro (L’ Apostolo) sia approdato a Leuca proveniente dalla Terra Santa e diretto a Roma, trasformado il tempio in Chiesa Cristiana. Sempre in riferimento al Santuario un altra leggenda narra, la storia di un maremoto che innalzò le acque del Mare fino ad un onda che arrivò sul piazzale del Santuario, che attraverso la Basilica passando per l Altare senza che vi fossino danni.

Legende e storia

I 2 Mari, Capo Santa Maria di Leuca, secondo alcuni studi e mappe è il divisorio tra il Mar Ionio ed il Mare Adriatco, tuttavia la situazione non è stata mai chiarita, secondo altri Leuca è il confine del cosidetto “Canale d’ Otranto” invece che dell’ Adriatico, comunque una leggenda turistica narra di una “fantomatica” linea in mezzo al mare che parte da “Punta Meliso” e che divide i due mari, in realtà la cosidetta “Linea” vista da molti è una normale incrocio di correnti marine, dovuto alla conformazione di Punta Meliso, che “spacca” le onde.

Balneazione

Grazie alla sua posizione geografica (che vede Leuca affacciarsi sul Mare “aperto”) le acque di Leuca sono da considerarsi tra le più pulite, grazie alle correnti marine che lambiscono la costa, sconsigliato fare il bagno con correnti di Scirocco. Tra i posti segnalati dai “Locali” c’e’ il vecchio pontile (molo degli Inglesi) in pieno centro, e lo Scalo. Sono poi presenti sul lungomare Stabilimenti Attrezzati come il “Lido Azzurro” (con specchio di sabbia) il Lido Samarinda, e Lido Giulia 24RE, tutti muniti anche di Ristorante per assaporare la cucina locale a due passi dal Mare (consigliato a Cena)

 

Il capo di Santa Maria di Leuca sul Mar Jonio.
Qui la fine della terra è un toponimo e una certezza geografica. Un cartello recita “benvenuti, welcome, de finibus terrae”.

Oltre il capo di Santa Maria di Leuca non c’è nulla, attorno sì. «Quasi tutti i giorni si vedono le montagne dell’Albania; alcune isole greche, la mattina presto; la Calabria, al tramonto», racconta Michele Rosafio, addetto alle strutture ricettive del santuario. «Sembra di essere davvero alla fine del mondo quando arriva un temporale dal mare, con nuvole nere e fulmini che cadono dappertutto in acqua».

L’incontro dei due mari, Ionio e Adriatico, è un’attrattiva turistica e c’è anche nelle cartoline: «In realtà è a Otranto, ma se i turisti lo vogliono credere li lasciamo fare», confessa Michele. Attorno, la costa è aspra e felice, ulivi, case tra i muri a secco, qualche solito abuso all’italiana nella macchia mediterranea.

Risalendo la costa, 45 chilometri più su, si raggiunge il punto più orientale d’Italia: Capo d’Otranto, Punta Palascìa, 18°31’14” di longitudine est. Dalla Puglia comincia il viaggio verso le finis terrae – i punti più a est, sud, ovest e nord d’Italia – dove quel nome indica ancora qualcosa. Per Silvia Godelli, assessore regionale al Mediterraneo, Cultura e Turismo, «finis terrae è una definizione letteraria carica di suggestione. Non è un concetto limitativo, anzi. Indica uno sconfinamento al di là del mare. Il Salento è un luogo di collegamento, di transiti da e verso Oriente, nostro dirimpettaio, dove culture differenti si sono sedimentate attraverso il dialogo, la curiosità verso l’altro».

Da qui si può osservare la prima alba d’Italia. L’Albania è a 35 miglia. «Nel 1998, durante la crisi del Kosovo, alle spalle del faro vennero montate batterie di missili», ricorda Elio Paiano, giornalista e storico locale. «Questa è stata una delle frontiere della Cortina di Ferro. L’ultimo guardiano del faro che ha abitato a Palascìa mi raccontava che nel Canale d’Otranto fino agli anni Sessanta gli albanesi facevano le esercitazioni e sparavano, tre volte al dì, in questa direzione».

 

nationalgeographic.it

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